salute

il gas Radon e gli effetti sulla salute

Monitoraggi ed evidenze epidemiologiche hanno dimostrato che l’esposizione al gas Radon ha effetti dannosi per la salute. Statisticamente infatti si rileva un aumento del rischio di tumore polmonare ai danni di persone che hanno frequentato ambienti con concentrazioni elevate di Rn222.

In realtà le vere sostanze che risultano essere potenzialmente pericolose per il corpo umano sono i “figli” del Radon in quanto, come già accennato, i prodotti del suo decadimento emettono a loro volta particelle ionizzanti α (alfa) ma a differenza del gas nobile questi ultimi, elettricamente carichi si presentano in forma solida e quindi, una volta inalati, si introducono nel corpo umano attraverso l’apparato respiratorio sotto forma di minuscole particelle legate al particolato presente nell’aria

La maggior parte di esse così come viene inspirata viene anche successivamente espirata prima che decada senza arrecare danni ma una piccola quantità si attacca ai tessuti polmonari e ne modifica il DNA favorendo il rischio di insorgenza di neoplasie.

A livello mondiale si ritiene che il 50 % delle radiazioni ionizzanti, a cui è soggetta la popolazione, derivi dall’esposizione al gas Radon.

Si stima che l’esposizione alle particelle ionizzanti derivate dal decadimento del radon sia la seconda causa di tumori al polmone dopo il fumo da tabacco. E’scientificamente provato che l’esposizione permanente a concentrazione di Rn222 aumenta la probabilità di insorgenza di un tumore sino a 16 volte per ogni 100 Bq/mc. Tale rischio subisce un effetto moltiplicativo in concomitanza con l’assunzione di fumo da tabacco. Per i fumatori infatti il rischio di ammalarsi aumenta sino a 25 volte rispetto ad un non fumatore a parità di esposizione al gas Radon.

Non esiste una soglia di sicurezza al di sotto della quale l’esposizione possa essere ritenuta non dannosa anche se si stima che concentrazioni inferiori ai 100 Bq/mc riducano nettamente i rischi per la salute. Questo valore, non di legge, è quello che ad oggi il Consiglio Superiore della Sanità indica come limite massimo di concentrazione a cui è auspicabile riferirsi.